Prestazione Occasionale – Come Funziona

La prestazione di lavoro occasionale è una pratica piuttosto diffusa in Italia, in particolare, tra i giovani e ha riscontrato negli ultimi anni il favore crescente delle imprese e degli stessi lavoratori, perché consente in molti casi di ovviare a molte formalità burocratiche che altrimenti sorgerebbero. In più, questo tipo di contratto è spesso adottato dai lavoratori autonomi, che per ragioni di costo e per evitare le incombenze della burocrazia preferiscono almeno temporaneamente non aprire la partita IVA.

In molti altri casi, poi, la prestazione occasionale si configura quale modo per un lavoratore che gode già di un contratto di arrotondare durante l’anno. Esempio: sono un perito informatico alle dipendenze della società X, ma vengo contattato da un’altra società Y, la quale vorrebbe avvalersi della mia collaborazione per portare avanti un certo progetto. In sostanza, il lavoratore svolge una prestazione secondaria a quella abituale, ma non per questo è costretto a instaurare un rapporto di lavoro per una collaborazione di così breve durata e puramente episodica. Si tratta, quindi, della possibilità consentita alle parti di sfruttare a beneficio di entrambe le doti, la professionalità di un individuo.

La legge Biagi nel 2003 ha introdotto proprio questa fattispecie nel mercato del lavoro, ma ha anche provveduto a porre determinati paletti. Anzitutto, si considera occasionale quella prestazione che viene svolta senza vincolo di subordinazione, senza coordinazione dell’attività e per un periodo non superiore ai 30 giorni nell’anno solare per ciascun committente. In più, la retribuzione netta complessiva del lavoratore percepita nell’anno non potrà eccedere i 5.000 euro netti. Superando uno di questi limiti, la prestazione non sarà più considerata occasionale, ma abituale, per cui dovranno applicarsi le altre fattispecie previste dalla legislazione sul lavoro.

Dunque, per essere considerata occasionale, un collaboratore non potrebbe svolgere un’attività con lo stesso committente per più di 30 giorni nell’anno solare, fermo restando la possibilità che egli possa svolgere più collaborazioni nell’anno con diversi committenti, superando i 30 giorni complessivi, ma non con ciascuno di loro. Esempio: nell’anno 2014, collaboro 30 giorni con la società X e 20 giorni con la società Y. I limiti sono rispettati.

Diverso è il discorso sui limiti retributivi. In questo caso, i 5.000 euro netti non dovranno essere superati nel loro complesso, ossia anche se riferiti a più collaborazioni. Questo, perché la legge sgrava il collaboratore occasionale della contribuzione Inps, ma superando i 5.000 euro all’anno, questi dovrà iscriversi alla Gestione Separata dell’Inps (se non è già iscritto) e comunicare al committente il superamento del limite. Sulla quota eccedente i 5.000 euro netti annui sarà tenuto a versare i contributi Inps nella percentuale prevista dalla legge e per i due terzi l’aggravio sarà a carico del committente, per un terzo del collaboratore.

Quanto agli altri aspetti sopra citati, la collaborazione prevede che il committente non possa vincolare o coordinare l’attività del collaboratore, quindi, non potrà deciderne l’orario di lavoro, non potrà imporgli la presenza fisica in un dato luogo, perché la ratio di questa fattispecie è che il collaboratore provvede a svolgere l’attività in piena libertà, ovviamente avendo quale scopo il raggiungimento dell’obiettivo per cui gli è stata affidato l’incarico.

In ogni caso, il collaboratore dovrà emettere a ogni pagamento una ricevuta, nella quale dovranno essere elencati i seguenti elementi: dati personali del committente; dati personali del collaboratore; dati identificativi della ricevuta (numero progressivo e data); compenso lordo; trattenuta sul compenso lordo (pari al 20% di quest’ultimo); compenso netto (compenso lordo – trattenuta del 20%).

Un modello di ricevuta è presente in questa pagina sul sito Nelportafoglio.com.

Se la ricevuta è di valore superiore ai 77,47 euro, va applicata anche una marca da bollo di 1,81 euro, in genere, a carico del committente. Inoltre, se le parti non hanno concordato alcun compenso per la collaborazione, bensì solo un rimborso per le spese sostenute (vitto, alloggio, etc.), queste non sono assoggettate alla ritenuta di acconto, cosa che avviene, invece, qualora il rimborso spese sia aggiuntivo rispetto al compenso.

Da un punto di vista del trattamento fiscale, i redditi da collaborazione occasionale vanno inseriti nel riquadro RL del modello Unico, quello riguardante i cosiddetti “Redditi diversi”. Va indicato l’importo lordo e si ricorda, però, che il collaboratore non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi, qualora il monte-redditi sia non superiore nell’anno ai 4.800 euro lordi, purché la collaborazione occasionale sia stata l’unica fonte di reddito nell’anno. Qualora, invece, siano stati percepiti anche redditi da lavoro dipendente o continuativo, anche se il reddito complessivo fosse inferiore ai 4.800 euro va presentata la dichiarazione.

Ma è sempre conveniente per il collaboratore fare la denuncia dei redditi, anche quando avrebbe il diritto di non presentarla. La ragione è semplice: le trattenute fiscali del 20%, applicate al compenso lordo percepito con la collaborazione o con diverse collaborazioni, saranno così integralmente rimborsate, in quanto l’Irpef pagata allo stato risulterebbe superiore a quella dovuta, che per redditi di tale entità è pari a zero. Ad esempio, se ho percepito 4.000 euro netti, avendo pagato il mio committente 1.000 euro sul compenso lordo da 5.000 euro, i 1.000 euro mi saranno rimborsati dallo stato.